ANSTISTATO

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Un Futuro Incerto: La Proposta di Antistato

Negli ultimi anni, numerosi studi hanno lanciato un allerta inquietante riguardo al futuro delle istituzioni statali. Secondo le previsioni, entro il 2030 potremmo trovarci di fronte a una crisi senza precedenti, in cui lo stato attuale non sarà più in grado di garantire i servizi essenziali per i cittadini. La sanità, l'economia, la sicurezza pubblica e l'approvvigionamento alimentare rischiano di diventare mere illusioni, lasciando un vuoto incolmabile nelle vite delle persone.

In questo contesto di crescente precarietà, un gruppo di cittadini consapevoli della situazione ha deciso di non rimanere inerti di fronte a questa imminente catastrofe sociale. Così è nato Antistato, un'iniziativa che mira a creare sistemi provvisori per garantire i diritti fondamentali degli associati. L'obiettivo è chiaro: costruire una rete di supporto e solidarietà che possa fungere da scudo in tempi di crisi.

Il sistema economico ideato dall'Antistato prende il nome di Mercato Nero. Questo approccio alternativo all'economia tradizionale si propone di facilitare lo scambio di beni e servizi tra i membri della comunità, superando le limitazioni imposte da un sistema in crisi. Attraverso il Mercato Nero, i cittadini possono accedere a risorse vitali e promuovere una forma di autosufficienza in attesa di tempi migliori.

Parallelamente, è stato concepito un sistema sanitario essenziale, denominato Infermeria. Questa struttura si propone di garantire assistenza sanitaria minima, fornendo cure di base e supporto medico ai membri della comunità. In un momento in cui i servizi sanitari tradizionali potrebbero vacillare, l'Infermeria rappresenta un faro di speranza e resilienza.

Antistato non è solo un progetto, ma un appello all'azione per tutti coloro che credono nella necessità di costruire un'alternativa. La vision è quella di creare una comunità coesa, in grado di affrontare le sfide del futuro con determinazione e unità. Attraverso il Mercato Nero e l'Infermeria, i cittadini possono riscoprire il valore della cooperazione e della solidarietà, rispondendo a una crisi che potrebbe minacciare le fondamenta della nostra società.

Per ulteriori informazioni e per unirti a questa iniziativa, visita il sito: www.MercatoNero.info. Insieme, possiamo costruire un futuro in cui, anche in tempi di crisi, la comunità rimane al centro delle nostre azioni.

GIORGIO VIALI

AVVERTENZA: GLI EVENTI DESCRITTI IN QUESTO ARTICOLO SONO INVENTATI. IL CONTENUTO DI QUESTO ARTICOLO È FRUTTO DI FANTASIA. AVVISO: GLI AVVENIMENTI DESCRITTI IN QUESTO ARTICOLO SONO COMPLETAMENTE INVENTATI. SI TRATTA DI UN'OPERA DI FANTASIA.

DISCLAIMER: THE EVENTS DESCRIBED IN THIS ARTICLE ARE INVENTED. THE CONTENT OF THIS ARTICLE IS A PRODUCT OF FANTASY

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VARIETY

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REMAKE DI VARIETY - 2025

E' in corso la definizione della produzione di un Remake del film "Variety" Sceneggiatura e Regia affidati a: Giorgio Viali. Produzione: Minuscola Produzione

Variety

Prodotto da Renee Shafransky; diretto da Bette Gordon; scritto da Kathy Acker, basato su una storia originale di Bette Gordon; fotografia di Tom DiCillo e John Foster; scenografie di Elyse Goldberg; montaggio di Ila von Hasperg; musica di John Lurie; con Sandy McLeod, Will Patton, Richard M. Davidson, Luis Guzmán, Nan Goldin, Cookie Mueller, Spalding Gray. Blu-ray e DVD, colore, 100 min., 1983. Un film distribuito da Kino Lorber.

La regista Bette Gordon ama osservare. Questa pulsione la portò di fronte al teatro Variety Photoplay più di quarant'anni fa, attirata dalle luci al neon del cartellone. Gordon si fece strada nel proiettore e fu affascinata, non solo dai corpi contorti e esposti sullo schermo (poiché all'epoca si trattava di un cinema pornografico), ma anche dal pubblico che guardava. Così coinvolta da questi strati di osservazione, decise di ampliare e approfondire questa sensazione con un film narrativo a tutti gli effetti, il suo debutto da lungometraggio, Variety (1983).

È rivoluzionario per una donna guardare? Probabilmente no, ma nel contesto e nei testi del cinema, è sicuramente audace e sovversivo. Camminando lungo i sentieri letterali e figurativi del film noir e del suspense alla Hitchcock, Variety di Gordon si svolge in un angolo trasandato nel centro di New York—un Times Square pre-Giuliani (anche se il vero teatro Variety Photoplay si trovava sulla Terza Avenue nel East Village di New York)—e segue una attraente cassiera bionda di un cinema pornografico la cui curiosità per un abituale frequentatore del teatro si trasforma in ossessione per i suoi intrighi torbidi e possibilmente connessi alla criminalità organizzata.

Il film inizia con un primo piano di Christine (Sandy McLeod) di profilo, mentre si prepara a tuffarsi in una piscina e, per estensione, a immergersi nella storia del film. Iniziando dalla straordinaria somiglianza del movimento di profilo e poi girato di Christine con quello iconico di Kim Novak in Vertigo (1958), Gordon apre sulla fisicità di Christine con i suoni dell'acqua che schizzi, piuttosto che con una colonna sonora pomposa di Bernard Hermann. La telecamera segue il tuffo di Christine, che nuota in uno stile dorso allungato, per poi soffermarsi sulle sue gambe, impostando un tono visivo inquietante e voyeuristico. Piuttosto che trasformarsi in una vetrina in Technicolor in stile Esther Williams, i colori primari (cappello da bagno giallo, costume da bagno rosso e bianco, e piscina blu clorata) sono attenuati dalla pellicola granulosa e dagli ambienti comuni, o, a seconda delle preferenze estetiche, forse anche messi in risalto. Nel saggio caratteristicamente eccellente di Amy Taubin, che accompagna il Blu-ray della Kino Lorber, descrive questa immagine e apertura “come un accesso a una zona cinematografica proibita”.

Christine, scrittrice in erba e disoccupata, trova lavoro al Variety Theater.

Passiamo al spogliatoio femminile, uno spazio cupo e dai colori spenti riservato alle donne. Mentre il "talk da spogliatoio" è diventato sinonimo di battute oscene, almeno per gli uomini, Christine e la sua amica Nan (la fotografa Nan Goldin) discutono di sé stesse e del lavoro in vari stadi di (dis)vestizione, con Nan che commenta di conoscere un lavoro ma non pensare che a Christine piacerebbe.

Seguendo il pensiero di Laura Mulvey e la linea teorica di André Bazin, Gordon è stata e rimane una forte sostenitrice del piacere che si trae dal cinema e del potere dell'immagine. Inquadrando la protagonista di Variety come oggetto e soggetto (interpretata da una McLeod capace di proiettarsi), Gordon invita lo spettatore a diventare voyeur sia nel guardarla sia nel guardare insieme a lei, raggiungendo un piano narrativo precedentemente limitato nel cinema dalla tipica traiettoria del desiderio riassunta nella frase di Mulvey “Donna come Immagine, Uomo come Portatore dello Sguardo”. In questo modo, Variety accoglie il pubblico e lo implica, se non lo rende completamente complice, nella narrazione sullo schermo.

Nel suo nuovo lavoro, Christine si siede in un gabinetto di biglietteria e scambia denaro per biglietti del cinema. Il gabinetto amplifica la sua presenza nei confronti dei clienti e la protegge dal mondo esterno, inclusi gli stessi clienti. Come spiega più tardi al suo fidanzato Mark (Will Patton), sente che la sua presenza, insieme alle luci al neon e ai manifesti di film pornografici, è in qualche modo un'attrazione per gli uomini e forse li aiuta a entrare. Durante una pausa (coperta da Luis Guzmán, sia capo che collega), si aggira per la hall del teatro e viene avvicinata da uno di questi uomini, un abituale del teatro di nome Louie (Richard Davidson), che le offre una Coca-Cola in sostituzione di quella che aveva versato pochi istanti prima. Ciò che questo tipo in stile Michel Piccoli (Gordon ha rivelato questo obiettivo riguardo al casting di Davidson nel commento audio del disco) non sa è che, sebbene stia offrendo esca a una bionda simile a una cerbiatta, sarà lei a seguirlo come un cervo attraverso le colline e le valli di spazi dominati dagli uomini in tutto Manhattan, nel Bronx e fino ad Asbury Park.

Durante la realizzazione di Variety, le telecamere (maneggiate dai collaboratori di Jim Jarmusch, Tom DiCillo, John Foster e dalla stessa Gordon) e McLeod entrano in più spazi tipicamente riservati e/o privilegiati per gli uomini. Ogni luogo assume un'atmosfera sperimentale ed esperienziale mentre vediamo quanto a lungo Christine riesca a resistere all'interno dei suoi ambienti. Nel cinema pornografico, entra e esce dalla cabina di proiezione e prolunga il suo soggiorno quando alcune scene catturano la sua attenzione. Nello shop di pornografia, i clienti mantengono le distanze mentre lei osserva le riviste e le cabine video, finché un tipo a caso inizia a comportarsi "come un vero stronzo!" e lei esce dallo shop. Al Mercato del Pesce Fulton, un luogo che Mark dice essere controllato dalla mafia, e dove Louie stringe la mano a diversi uomini, Christine riesce a vagare senza interferenze, senza che venga prestata attenzione a lei (sia desiderata che indesiderata). Al Yankee Stadium, dove Louie ha invitato Christine per un appuntamento, viene trattata con un posto in una box con vista, con la partita di baseball che diventa uno sfondo nella ripresa a due di lei e Louie, quasi come una proiezione sullo schermo posteriore in un film di Hitchcock (come nota Gordon nel commento audio). Il loro appuntamento, inclusa una bottiglia di champagne condivisa, viene bruscamente interrotto quando Louie si precipita per un affare urgente non specificato. Dopo aver percepito l'odore di Louie al cinema e, per usare un linguaggio venatorio, presentandosi per L'Incontro che era la data alla partita, la partenza brusca di Louie funge da doppia corna, segnando l'inizio della caccia di Christine, una in cui il suo personaggio si evolve da segugio a Cacciatore mentre Gordon rimane il Maestro.

Prima di questo film, Gordon era per lo più quella che Amy Taubin ha definito una regista "brava ragazza", bilanciando le pressioni del discorso femminista contemporaneo senza affrontare completamente o esplorare la questione del desiderio femminile sullo schermo, come elaborato nel pezzo di Taubin su "I film di Bette Gordon" per la retrospettiva all'Anthology Film Archives nel 2011. Come riflettuto in seguito da Gordon, “Sentivo che il piacere delle donne non era stato rappresentato molto bene nel cinema, specialmente non fino al Movimento delle Donne che esaminava il film e volevo reinserirlo come questione.” Attraverso la Downtown Art Scene, Gordon si connessa a Kathy Acker, una scrittrice e artista performativa sperimentale "cattiva ragazza".

Se Gordon amava osservare, Acker amava parlare (Acker è deceduta di cancro al seno nel 1997). Negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, si fece un nome con recitazioni di narrazione in prima persona stravaganti e che scuotevano i tabù, rivolte a pubblici di club e salotti a Lower Manhattan, incorporando osservazioni del set culturale bohémien e le proprie esperienze come figlia di una famiglia benestante dell'Upper East Side trasformata in lavoratrice del sesso-cum-segretaria diventata voce dell'avanguardia underground. Uno degli esperimenti più formali di Acker era riscrivere donne nei ruoli centrali di romanzi classici centrati sugli uomini, come Don Chisciotte e Grandi Speranze.

Con questa sensibilità e l'uso frequente della pornografia all'interno del suo lavoro, Acker era ben adatta a mettere in parole la visione di Gordon mentre lavoravano insieme a quello che sarebbe diventato il copione di Variety, basato sulla premessa e sul trattamento di Gordon. A differenza della narrativa antiporn e antistruttura delle filmmaker associate al Movimento delle Donne della fine degli anni Settanta e all'inizio degli anni Ottanta, Gordon e Acker cercavano di sovvertire l'arte impregnata di patriarcato (sia essa cinema o letteratura) utilizzando i suoi stessi meccanismi come armi e creando così dichiarazioni che potenziano le donne, le loro storie e i loro desideri.

Man mano che Christine cresce e si adatta all'estetica, seguendo le sue curiosità e desideri, aliena il suo fidanzato giornalista con monologhi brechtiani—che ricordano i primi (prima che dicesse addio al linguaggio) Godard—di fiction pornografica e fantasie sessuali. Questi discorsi sono le parole e lo spirito di messa in scena confrontativa di Acker, ma recitati con il tono invitante e quasi seducente, senza diventare apertamente licenzioso, delle cassette di auto-aiuto e degli esercizi di meditazione. Questo confronto diventa più diretto più tardi nel film quando Christine si sdraia e ascolta una cassetta di meditazione che Gordon stessa aveva trovato.

Tornando indietro e approfondendo i legami doppi di Variety con il film noir e la pornografia vintage, un occhio attento noterà i manifesti di Laura’s Desires (1977) e A Place Beyond Shame (1980) nel film. Entrambi i titoli hanno allusioni che rimandano al noir classico (Laura di Otto Preminger [1944] e In A Lonely Place di Nicholas Ray [1950]), e assumono una narrativa propria, arricchendo quella di Christine, poiché appaiono per la prima volta al cinema e vengono poi trovati nel suo appartamento. È nel suo appartamento che vediamo quanto è cambiata mentre lavorava al Variety. Nello spazio privato, Christine passa dall'ascoltare messaggi telefonici (da madre preoccupata a padrone di casa preoccupato) mentre mangia gelato in abiti casual, a truccarsi davanti allo specchio con un magnifico corpetto blu, trucco smoky e codini. Come sottolinea la critica cinematografica di New York Hillary Weston nel commento audio, Christine porta a casa con sé il neon del teatro e la sua estetica.

I colori e la palette complessiva del film si intensificano nel tempo e si allineano con la storia e lo sviluppo del personaggio di Christine, l'effetto del quale è reso ancora più sorprendente in questa restaurazione 2K approvata dal regista, laminata dalla qualità granulosa emblematicamente sovversiva del cinema in 16 mm. Le caratteristiche bonus includono gallerie di stills di produzione di Nan Goldin, stills di scouting location e illustrazioni di storyboard, che offrono ulteriori spunti sul processo visivo del film e più arte da consumare per lo spettatore curioso. Il corto di Gordon Anyone’s Woman (1981) è anch'esso incluso come bonus e si rivela aver gettato le basi per pezzi poi incorporati in Variety (inclusi discussioni su fantasie sessuali, recitazioni da donne a uomini disinteressati e distaccati, e il teatro Variety Photoplay stesso).

Variety è una storia di ossessione trasformata in realizzazione, con una sceneggiatura palpabilmente pulp girata in modo così essenziale che le immagini sono aperte a proiezioni e interpretazioni, invitando la complicità dello spettatore nell’esperienza voyeuristica—sempre che non si disimpegnino quasi immediatamente come fa il fidanzato di Christine, il cui silenzio crescente rende la sua voce ancora più forte. Come testo femminista all'interno di un film noir (o di un primo atto di Hitchcock) con tocchi erotici, Variety oscilla e si discosta dai modi del film narrativo, della pornografia e dell'avanguardia. La narrativa giallistica che fiorì negli anni Quaranta si fonde in questo ambiente vibrante degli anni Ottanta, mescolando il Classic Hollywood con il cinema indipendente. Il film è anche un artefatto di un New York non così vecchio, in un periodo intermedio tra Taxi Driver (1976) e After Hours (1985), con allusioni a Desperately Seeking Susan (1985), ma presenta lo stile distintivo di Bette Gordon e la radicale Downtown Art Scene degli anni Ottanta a cui lei e Acker appartenevano.

Per quanto riguarda il motivo per cui Variety non venga discusso più spesso tra i film sopra citati, molti critici contemporanei furono sorpresi dalla sua estetica pornografica (alcuni delusi che non fosse più osceno, altri infastiditi dall'atto di impegnarsi positivamente con la pornografia) mentre altri non risposero bene al suo fallimento nel conformarsi alle aspettative narrative del noir o del thriller, aggravato da un finale discutibilmente insoddisfacente. Per un esempio dalle pagine di Cineaste (inverno 1985), Susan Jhirad concluse la sua recensione mista e negativa: “Se si desidera vedere un film che affronti seriamente il legame tragico tra pornografia, grandi soldi e violenza contro le donne, sarebbe meglio vedere Star 80, un film femminista sottovalutato realizzato (ahimè) da un uomo.” Dopo essere stata selezionata per i festival cinematografici di Toronto e Cannes (edizioni del 1983 e del 1984, rispettivamente) e una distribuzione teatrale poco appariscente nel 1985, Variety fu generalmente ignorato e quasi dimenticato per tre decenni al di fuori dei circoli cinematografici di nicchia e di Amy Taubin come sua continua sostenitrice critica. Nel 2009, il Tribeca Film Festival ha presentato Variety in una selezione legata all'ultimo lungometraggio di Gordon, Handsome Harry (2009), e il suo film di debutto ha da allora beneficiato delle più recenti ondate di interesse critico e di pubblico per il lavoro di registe donne trascurate.

AVVERTENZA: GLI EVENTI DESCRITTI IN QUESTO ARTICOLO SONO INVENTATI. IL CONTENUTO DI QUESTO ARTICOLO È FRUTTO DI FANTASIA. AVVISO: GLI AVVENIMENTI DESCRITTI IN QUESTO ARTICOLO SONO COMPLETAMENTE INVENTATI. SI TRATTA DI UN'OPERA DI FANTASIA.

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Produced by Renee Shafransky; directed by Bette Gordon; written by Kathy Acker, based on an original story by Bette Gordon; cinematography by Tom DiCillo and John Foster; production design by Elyse Goldberg; edited by Ila von Hasperg; music by John Lurie; starring Sandy McLeod, Will Patton, Richard M. Davidson, Luis Guzmán, Nan Goldin, Cookie Mueller, Spalding Gray. Blu-ray and DVD, color, 100 min., 1983. A film distributed by Kino Lorber.

Director Bette Gordon loves to observe. This impulse led her to the Variety Photoplay theater more than forty years ago, drawn in by the neon lights of the marquee. Gordon made her way into the projection room and was fascinated not only by the contorted bodies displayed on the screen (as it was a pornographic cinema at the time) but also by the audience watching. So engrossed by these layers of observation, she decided to expand and deepen this feeling with a full-fledged narrative film, her feature debut, Variety (1983).

Is it revolutionary for a woman to look? Probably not, but in the context and texts of cinema, it is certainly bold and subversive. Walking along the literal and figurative pathways of film noir and Hitchcockian suspense, Gordon's Variety unfolds in a rundown corner of downtown New York—a pre-Giuliani Times Square (though the actual Variety Photoplay theater was located on Third Avenue in Manhattan’s East Village)—and follows an attractive blonde cashier at a pornographic cinema whose curiosity about a regular theater-goer turns into an obsession with his murky intrigues, possibly connected to organized crime.

The film begins with a close-up of Christine (Sandy McLeod) in profile as she prepares to dive into a pool and, by extension, to immerse herself in the film's narrative. Beginning with the extraordinary resemblance of Christine's profile movement, then turned, to the iconic one of Kim Novak in Vertigo (1958), Gordon opens on Christine's physicality with the sounds of splashing water, rather than a pompous score by Bernard Herrmann. The camera follows Christine's dive as she swims in a stretched-back stroke, then lingers on her legs, setting a visually unsettling and voyeuristic tone. Rather than transforming into a Technicolor showcase in the style of Esther Williams, the primary colors (yellow swim cap, red-and-white swimsuit, and chlorinated blue pool) are muted by the grainy film and the commonplace settings, or, depending on aesthetic preferences, perhaps even highlighted. In the characteristically excellent essay by Amy Taubin that accompanies the Kino Lorber Blu-ray, she describes this image and opening as “an access to a forbidden cinematic zone.”

Christine, a budding writer and unemployed, finds work at the Variety Theater.

We move to the women’s dressing room, a dim and muted space reserved for women. While “locker room talk” has become synonymous with obscene banter, at least for men, Christine and her friend Nan (the photographer Nan Goldin) discuss themselves and work at various stages of (dis)robing, with Nan commenting that she knows of a job but doesn’t think Christine would like it.

Following the thoughts of Laura Mulvey and the theoretical line of André Bazin, Gordon has been and remains a strong advocate for the pleasure derived from cinema and the power of the image. Framing the protagonist of Variety as both object and subject (portrayed by a capable McLeod), Gordon invites the viewer to become a voyeur both in watching her and in watching alongside her, reaching a narrative plane previously limited in cinema by the typical trajectory of desire encapsulated in Mulvey's phrase “Woman as Image, Man as Bearer of the Look.” In this way, Variety welcomes and implicates its audience, if not making them fully complicit, in the on-screen narrative.

In her new job, Christine sits in a ticket booth, exchanging cash for movie tickets. The booth amplifies her presence toward the customers and protects her from the outside world, including the customers themselves. As she later explains to her boyfriend Mark (Will Patton), she feels that her presence, along with the neon lights and posters of pornographic films, is somewhat of a draw for men and perhaps helps them to enter. During a break (covered by Luis Guzmán, both boss and colleague), she wanders through the theater's lobby and is approached by one of these men, a regular at the theater named Louie (Richard Davidson), who offers her a Coca-Cola to replace the one she spilled moments earlier. What this Michel Piccoli-type (Gordon revealed this aim regarding Davidson's casting in the audio commentary) doesn’t know is that, while he is offering bait to a doe-like blonde, she will be the one to follow him like a deer through the hills and valleys of male-dominated spaces throughout Manhattan, the Bronx, and up to Asbury Park.

During the making of Variety, the cameras (handled by Jim Jarmusch collaborators Tom DiCillo, John Foster, and Gordon herself) and McLeod enter more typically male-reserved and/or privileged spaces. Each location takes on an experimental and experiential atmosphere as we see how long Christine can withstand being within her environments. In the pornographic cinema, she enters and exits the projection booth and prolongs her stay when certain scenes capture her attention. In the porn shop, customers keep their distance while she observes the magazines and video booths, until a random guy starts behaving “like a real jerk!” and she leaves the shop. At the Fulton Fish Market, a place Mark says is controlled by the mob, and where Louie shakes hands with several men, Christine manages to wander without interference, with no attention paid to her (both desired and undesired). At Yankee Stadium, where Louie has invited Christine on a date, she is treated to a box seat with a view, with the baseball game becoming a backdrop in the two-shot of her and Louie, almost like a projection on the rear screen in a Hitchcock film (as Gordon notes in the audio commentary). Their date, including a shared bottle of champagne, is abruptly interrupted when Louie rushes off for an unspecified urgent matter. After catching a whiff of Louie at the cinema and, to use hunting language, presenting herself for the Encounter that was the date at the game, Louie's abrupt departure serves as a double entendre, marking the beginning of Christine's hunt, one in which her character evolves from tracker to Hunter while Gordon remains the Master.

Before this film, Gordon was mostly what Amy Taubin described as a “good girl” director, balancing the pressures of contemporary feminist discourse without fully addressing or exploring the issue of female desire on screen, as elaborated in Taubin's piece on “The Films of Bette Gordon” for the Anthology Film Archives retrospective in 2011. As later reflected by Gordon, “I felt that women's pleasure had not been represented very well in cinema, especially not until the Women's Movement examined film, and I wanted to reinstate it as an issue.” Through the Downtown Art Scene, Gordon connected with Kathy Acker, an experimental “bad girl” writer and performance artist.

If Gordon loved to observe, Acker loved to speak (Acker passed away from breast cancer in 1997). In the 1970s and early 1980s, she made a name for herself with extravagant first-person narrative performances that shook taboos, aimed at club and salon audiences in Lower Manhattan, incorporating observations of the bohemian cultural set and her own experiences as a daughter of a well-off Upper East Side family turned sex worker-cum-secretary turned voice of the underground avant-garde. One of Acker's most formal experiments was rewriting women into the central roles of classic male-centered novels, such as Don Quixote and Great Expectations.

With this sensibility and the frequent use of pornography within her work, Acker was well-suited to articulate Gordon’s vision as they worked together on what would become the script for Variety, based on Gordon's premise and treatment. Unlike the anti-porn and anti-structure narratives of the filmmakers associated with the Women's Movement of the late 1970s and early 1980s, Gordon and Acker sought to subvert patriarchally imbued art (whether it be cinema or literature) using its own mechanisms as weapons, thus creating statements that empower women, their stories, and their desires.

As Christine grows and adapts to the aesthetic, following her curiosities and desires, she alienates her journalist boyfriend with Brechtian monologues—reminiscent of the early (before he said goodbye to language) Godard—on pornographic fiction and sexual fantasies. These discourses are the words and spirit of Acker's confrontational staging, but recited with the inviting and almost seductive tone, without becoming overtly licentious, of self-help tapes and meditation exercises. This confrontation becomes more direct later in the film when Christine lies down and listens to a meditation tape that Gordon herself had found.

Looking back and deepening the double ties of Variety with film noir and vintage pornography, a keen eye will notice posters for Laura’s Desires (1977) and A Place Beyond Shame (1980) in the film. Both titles have allusions that refer back to classic noir (Laura by Otto Preminger [1944] and In A Lonely Place by Nicholas Ray [1950]), and take on a narrative of their own, enriching Christine's as they first appear in the cinema and are later found in her apartment. It is in her apartment that we see how much she has changed while working at the Variety. In the private space, Christine moves from listening to phone messages (from a worried mother to a worried landlord) while eating ice cream in casual clothes, to applying makeup in front of the mirror with a stunning blue corset, smoky makeup, and pigtails. As noted by New York film critic Hillary Weston in the audio commentary, Christine brings home the neon of the theater and its aesthetic.

The colors and overall palette of the film intensify over time and align with Christine's story and character development, the effect of which is made even more striking in this 2K restoration approved by the director, laminated by the emblematically subversive grainy quality of 16mm cinema. Bonus features include galleries of production stills by Nan Goldin, location scouting stills, and storyboard illustrations, offering further insights into the film's visual process and more art for the curious viewer to consume. Gordon's short Anyone’s Woman (1981) is also included as a bonus and proves to have laid the groundwork for pieces later incorporated into Variety (including discussions on sexual fantasies, performances from women to indifferent and detached men, and the Variety Photoplay theater itself).

Variety is a story of obsession transformed into realization, with a palpably pulp screenplay shot in such an essential way that the images are open to projections and interpretations, inviting the viewer's complicity in the voyeuristic experience—provided they don't disengage almost immediately like Christine's boyfriend, whose growing silence renders her voice even stronger. As a feminist text within a film noir (or a first act of Hitchcock) with erotic touches, Variety sways and deviates from the ways of narrative cinema, pornography, and the avant-garde. The detective narrative that flourished in the 1940s merges into this vibrant 1980s environment, mixing Classic Hollywood with independent cinema. The film is also an artifact of a not-so-old New York, in an interstitial period between Taxi Driver (1976) and After Hours (1985), with allusions to Desperately Seeking Susan (1985), but presents Bette Gordon's distinctive style and the radical Downtown Art Scene of the 1980s to which she and Acker belonged.

As for why Variety is not discussed more often among the aforementioned films, many contemporary critics were surprised by its pornographic aesthetic (some disappointed that it was not more obscene, others irritated by the act of positively engaging with pornography) while others did not respond well to its failure to conform to the narrative expectations of noir or thriller, exacerbated by a arguably unsatisfying ending. For an example from the pages of Cineaste (Winter 1985), Susan Jhirad concluded her mixed and negative review: “If you want to see a film that seriously addresses the tragic link between pornography, big money, and violence against women, you’d be better off watching Star 80, an underrated feminist film made (alas) by a man.” After being selected for the Toronto and Cannes film festivals (in 1983 and 1984, respectively) and a lackluster theatrical release in 1985, Variety was generally overlooked and almost forgotten for three decades outside of niche film circles and Amy Taubin as its ongoing critical supporter. In 2009, the Tribeca Film Festival showcased Variety in a selection related to Gordon’s latest feature, Handsome Harry (2009), and her debut film has since benefited from the most recent waves of critical and public interest in the work of overlooked women directors.

EURIDICE STREAM

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EURIDICE STREAM

DI GIORGIO VIALI

CASTING IN CORSO

EURIDICE STREAM

CASTING IN CORSO

EURIDICE STREAM

PROGETTO IBRIDO (CINEMA, FOTOGRAFIA, SOCIAL MEDIA)

DA UN'IDEA DI GIORGIO VIALI

DRAMMA MITOLOGICO URBANO

UN PROLOGO, QUATTRO CAPITOLI E UN EPILOGO

VERSIONE FEMMINILE DI "ORFEO ED EURIDICE"

PROGETTO ZERO BUDGET

Recensione di "Euridice Stream" di Giorgio Viali (2025)

In un panorama cinematografico affollato, "Euridice Stream" emerge come una gemma audace e provocatoria del regista indipendente Giorgio Viali. Questo film, che combina elementi di noir ed esplorazioni eroticamente cariche, rappresenta una riflessione penetrante e inquietante sulla natura della connessione umana nell'era digitale. Con uno stile narrativo che fluttua tra il reale e il surreale, Viali ci guida attraverso un'esperienza visiva e emotiva che sfida le nostre percezioni di amore, perdita e identità.

La figura centrale del film è Euridice, interpretata con una notevole intensità da un'attrice il cui talento innato supera ogni carenza tecnica. La sua performance è un viaggio affascinante attraverso la vulnerabilità e la determinazione: Euridice diventa un simbolo di resilienza, la cui bellezza è intrisa sia di fragilità che di forza. Viali, con il suo occhio attento per i dettagli, riesce a catturare l'essenza di un personaggio che vive in un mondo che sembra aver smarrito il significato autentico delle relazioni.

Il film si sviluppa attorno alla storia di Euridice e Orfeo, un incontro che si tramuta presto in un tormentato viaggio di amore e autodistruzione. Le dinamiche della loro relazione sono cimentate in un contesto metacinematografico dove si avverte l’ombra di una produzione cinematografica che rimane, in parte, in sviluppo. Questo stratagemma narrativo non solo riflette l'assurdità dell'industria audiovisiva, ma amplifica anche il senso di una realtà frammentaria e inquietante. Attraverso le interazioni tra i personaggi e le loro performance, Viali esplora le relazioni nell'era contemporanea, dove la superficialità spesso maschera la disperazione interiore.

La narrazione segue Euridice nel suo disperato tentativo di rintracciare Orfeo dopo la sua improvvisa scomparsa. La ricerca si trasforma in un viaggio labirintico che la porta a confrontarsi con un ambiente deteriorato e allucinato, governato da figure enigmatiche come Persefone, la cui figura rappresenta il potere, ma anche il sacrificio, della bellezza nel mondo contemporaneo. Qui, Viali non si limita a raccontare una storia di amore perduto, ma offre uno spaccato allarmante di come la nostra dipendenza dalla tecnologia e dalla valida approvazione altrui possa distorcere la nostra umanità.

Le scelte visive di Viali sono straordinarie. La scenografia, intrisa di simbolismi e riferimenti socioculturali, invita lo spettatore a un'esperienza immersiva. Ogni inquadratura è attentamente composta, ogni movimento della camera studiato per infondere un senso di urgenza ed ansia. La colonna sonora, in perfetta sinergia con le immagini, amplifica la tensione e la confusione emotiva, creando un'atmosfera di continua inquietudine.

Euridice Stream non offre risposte facili, ma piuttosto invita lo spettatore a riflettere su temi complessi come l'amore, la possessione, l'identità e l'inadeguatezza. Man mano che la trama si dipana, ci rendiamo conto che, sebbene ci sia un desiderio ardente di redenzione e riconciliazione, il mondo che circonda i protagonisti è segnato da illusioni e disillusioni. La spirale discendente di Orfeo, intrappolato in una rete di dipendenze sociali e personali, rispecchia una condizione umana universale, invitando a una riflessione profonda sulla fragilità delle relazioni moderne.

In conclusione, "Euridice Stream" è un'opera che riesce a mescolare narrazione e stile in modo magistrale, lasciando il pubblico con più domande che risposte. Con la sua visione audace e la sua capacità di stimolare conversazioni significative, Giorgio Viali riconferma la sua posizione come voce unica nel panorama cinematografico contemporaneo. Un film che, pur richiedendo impegno e attenzione, si rivela un'esperienza emozionante e duratura, meritevole di essere vista e discussa nel contesto più ampio della cultura odierna.

TRAMA

La trama di "Euridice Stream" si sviluppa attorno a Euridice e Orfeo, il cui incontro iniziale appare come il preludio a una dolce storia d'amore, ma ben presto si trasforma in una saga di dolore e disillusione. Euridice vive nella speranza e nell’amore, mentre Orfeo, sedotto dalla frenesia e dalle tentazioni di un nuovo mondo, piomba in una spirale autodistruttiva.

Dopo la sua scomparsa, Euridice inizia una ricerca disperata per riunirsi a lui, solo per scoprire la verità sconcertante sulle sue scelte e il suo nuovo stile di vita. La figura di Aristea, una sex performer, diventa il catalizzatore del suo declino, suggerendo una critica alle interazioni superficiali che predominano nei rapporti dell'era digitale. In questo contesto, l'agenzia di Persefone agisce come simbolo di un potere trasversale e corruttivo, sottolineando la mercificazione di corpi e relazioni.

La tensione culmina quando, dopo mesi di sacrificio, Euridice ottiene l'opportunità di rivedere Orfeo, solo per trovarlo irriconoscibile e distante. Le loro strade, un tempo intrecciate, si separano nuovamente, rappresentando la triste verità di un amore che, una volta puro, è ora deteriorato dalle circostanze. "Euridice Stream" così, non solo narra una storia, ma invita a esplorare in modo profondo le dinamiche del nostro tempo, lasciando un'impronta indelebile nella mente degli spettatori.


Il 6 giugno 2016, il mondo della moda e del cinema ha assistito a un connubio straordinario grazie alla visione innovativa della regista Gia Coppola, che ha portato sullo schermo un reinterpretazione del mito di Orfeo ed Euridice. Realizzata in collaborazione con Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, la pellicola si è distinta non solo per la sua narrativa, ma anche per la sua estetica coinvolgente e contemporanea, ambientata nelle vibranti strade di New York.

Il cortometraggio si presenta come un ibrido tra film di moda e narrazione cinematografica, riflettendo la complessità e la ricchezza della storia originale. La scelta delle location, tra cui l'East Village e una villa panoramica sul fiume Hudson, crea un quadro suggestivo che incarna lo spirito urbano e cosmopolita della Grande Mela. La regista ha sapientemente selezionato questi ambienti per dare vita non solo a una storia d’amore, ma anche a una sorta di viaggio visivo attraverso un mondo drammatico e onirico, dove le emozioni dei personaggi si intrecciano con la frenesia della metropoli.

Rimanendo fedele all’essenza del mito greco, Coppola racconta la storia di Orfeo e della sua amata Euridice con un’intensità che cattura l'attenzione dello spettatore. La narrazione prende vita attraverso l’interpretazione di Lou Doillon nei panni di Euridice, il cui stile e le cui scelte di abbigliamento diventano simboli delle sue emozioni e della sua vulnerabilità. Il vestito da sposa creato appositamente per la scena del matrimonio evoca la speranza e la gioia, mentre il luminoso abito che indossa negli Inferi riflette il dramma e la disperazione della sua situazione. Questo opportuno uso della moda mette in risalto non solo la bellezza esteriore, ma anche la profondità dell'animo umano, un elemento centrale nel mito di Orfeo.

Un aspetto affascinante di questo cortometraggio è l'assenza di dialoghi, scelta che amplifica il potere delle immagini e dei suoni. Coppola riesce a trasmettere una gamma di emozioni attraverso l'espressività dei volti e dei gesti dei personaggi, arricchendo la narrazione con una colonna sonora che accompagna e sottolinea i momenti salienti della storia. Questa decisione di abbandonare le parole a favore di un linguaggio visivo puro e conturbante dimostra la maestria della regista nell'arte della narrazione cinematografica.

In questo contesto, il lavoro dell’estetista Arianne Phillips si rivela fondamentale. I costumi non solo definiscono l’identità dei personaggi, ma fungono anche da catalizzatori emozionali. La selezione dei colori e dei materiali non è casuale: il rosso, simbolo di passione e tentazione, si intreccia con altre tonalità evocative per costruire un tessuto narrativo ricco e polisemico. Questi dettagli sartoriali, opportunamente abbinati all’estetica visiva di Michele, rendono ogni inquadratura un vero e proprio quadro d’arte.

Il parco centrale di New York, scelto come sfondo, diventa un simbolo del contrasto tra la vita quotidiana e il dramma della storia. Coppola sfrutta le diverse sfaccettature della metropoli per riflettere le emozioni dei protagonisti: il parco rappresenta un luogo di bellezza e serenità, mentre il bar sotterraneo incarna il buio e la disperazione del viaggio negli Inferi. Questo contrasto visivo non solo arricchisce la narrazione, ma invita anche lo spettatore a riflettere sul mondo moderno e sulle sue sfide.

In conclusione, il cortometraggio di Gia Coppola non è semplicemente una rivisitazione di un mito classico, ma rappresenta un affascinante incrocio tra la tradizione e la modernità. Attraverso una sinergia perfetta tra moda, arte e narrazione, il progetto riesce a parlare di temi universali come l’amore e la perdita in un linguaggio contemporaneo. La capacità di Coppola di trasformare un'antica leggenda in un'opera d'arte visivamente impattante e emotivamente risonante dimostra che le storie classiche possono essere rielaborate in modi innovativi, capaci di affascinare e coinvolgere il pubblico odierno. Questo cortometraggio, oltre a fungere da tributo alla moda e alla cultura contemporanea, risuona con la profonda bellezza delle emozioni umane, trasformandosi in un’esperienza cinematografica memorabile.


The Opera! Arie per un'eclissi: Un'Innovativa Rivisitazione del Mito di Orfeo

Presentato alla XIX edizione della Festa del Cinema di Roma, "The Opera! Arie per un'eclissi" segna l'attesissimo esordio cinematografico di Davide Livermore e Paolo Gep Cucco. Questo film audace, che mescola sapientemente teatro e musica, offre una rivisitazione moderna del mito di Orfeo, trasportando il pubblico in un viaggio surreale e contemporaneo, dove il classico incontra il quotidiano.

Una Trama Avvincente

La storia ruota attorno a Orfeo, interpretato dal tenore Giuseppe Valentino Buzza, e alla sua amata Euridice, portata sullo schermo dalla soprano Mariam Battistelli. In una narrazione emozionante, Euridice affronta un destino tragico all'interno di un supermercato, mentre Orfeo, intrappolato in un taxi guidato dal disincantato Caronte, impersonato da Vincent Cassel, si avventura nell’Ade moderno: un hotel di lusso ricco di comfort ma permeato da una profonda tragedia.

Un'Accattivante Colonna Sonora

La colonna sonora di "The Opera!" combina arie liriche classiche di Verdi e Puccini con musiche originali di Mario Conte, creando un'atmosfera intensa e immersiva. La regia audace e la fotografia vibrante, che rimandano agli spot pubblicitari di alta moda, arricchiscono ulteriormente l'esperienza, mettendo in risalto costumi che sembrano uscire direttamente dalle passerelle.

Un Amore Sottile tra Mitologia e Quotidianità

In questa reinterpretazione, il mito antico si mescola con elementi di vita contemporanea e il dolore di un amore spezzato. Orfeo si trasforma in Alfredo, un uomo comune che lotta disperatamente per riportare la sua amata dal limbo del coma. Le citazioni dall'opera e dalla letteratura, come i passaggi dalle "Metamorfosi" di Ovidio, rendono la trama complessa e affascinante.

Un Cast Stellare

"The Opera! – Arie per un’eclissi" vanta un cast d'eccezione, comprendente nomi illustri come Vincent Cassel, Fanny Ardant e Caterina Murino, che affiancano i protagonisti Valentino Buzza e Mariam Battistelli. Livermore e Cucco definiscono il loro progetto come "la storia di tutte le storie", un racconto che esplora amore e destino in un modo che sfida le convenzioni artistiche.

Un Mondo Fantasmagorico

La regia del film amalgama pop, moda e mitologia, dando vita a un universo onirico e multicolore. La narrazione si muove tra riferimenti storici e contemporanei, mescolando le arti liriche con la cultura popolare e presentando un Caronte narratore che accompagna il pubblico in questo viaggio metafisico. Le influenze visive spaziano da De Chirico a Dolce e Gabbana, creando un paesaggio denso di significato e bellezza.

Una Celebrazione dell'Amore

"The Opera! – Arie per un’eclissi" si presenta come un'esperienza cinematografica imperdibile, capace di coinvolgere ed emozionare. Con il suo approccio innovativo e un cast di talento, il film si propone di essere una celebrazione dell'amore e della creatività, rendendo omaggio a un mito che continua a risuonare nelle storie e nelle vite di oggi.

SINOSSI

La narrazione si apre in un giorno che avrebbe dovuto essere di festa: un colpo di pistola interrompe drammaticamente il sogno di Orfeo e Euridice, nel giorno delle loro nozze. La coppia affronta un destino crudele quando l'anima di Euridice viene rapita e condotta negli inferi. Determinato a ritrovare la sua amata, Orfeo intraprende un viaggio attraverso luoghi onirici e surreali, da una Parigi semi-sommersa a un hotel di lusso, attraversando scogliere e teatri abbandonati.

Lungo il cammino, i protagonisti daranno vita a celebri arie liriche, creando un affascinante intreccio musicale che spazia da Puccini a Händel, da Verdi a Gluck, Bellini, Ravel e Vivaldi, fino a includere i Frankie Goes to Hollywood. Questo straordinario universo sonoro è caratterizzato da una fusione di orchestre acustiche e sound design elettronici, proponendo al pubblico un’esperienza unica.

L'ultimo e più insidioso ostacolo che Orfeo dovrà affrontare per riportare Euridice tra i vivi sarà l’esecuzione dell’aria che racchiude l’essenza della prova d’amore, un momento culminante che metterà alla prova la forza del loro legame e la potenza della musica.


Il mito di Orfeo ed Euridice ha ispirato molte opere nel corso della storia, e le trasposizioni cinematografiche di questo racconto classico negli ultimi anni hanno rivelato approcci diversi, ma tutti affascinanti. Concentrandosi sui lavori di Gia Coppola (2016), "The Opera! Arie per un’eclissi" e "Euridice Stream" di Giorgio Viali, si può osservare una progressione interessante nel modo in cui il mito è trattato, da una rilettura pop contemporanea a una profonda esplorazione delle complessità sociali e personali.

Gia Coppola e la Modernità del Mito

Il cortometraggio di Gia Coppola, realizzato nel 2016, offre una visione moderna e intrigante del mito di Orfeo ed Euridice, reinterpretato attraverso l'obiettivo della moda e della cultura contemporanea. Ambientato nelle strade vivaci di New York, il corto mescola simbolismo classico e elementi di un contesto urbano che emana freschezza e vitalità. La regista riesce a trasmettere il dramma della perdita attraverso una narrazione visiva potente, riducendo il dialogo a una rappresentazione puramente espressiva: i costumi curati da Arianne Phillips riflettono una sofisticata poesia visiva, incorporando toni e textures che esprimono umore e tematiche del mito.

La bellezza del lavoro di Coppola sta nella sua capacità di fondere il linguaggio del film di moda con la narrazione tragica, rendendo il mito di Orfeo ed Euridice non solo accessibile, ma anche estremamente divertente e attraente per il pubblico contemporaneo. Tuttavia, questa rilettura, sebbene innovativa, sembra rimanere più vicina all’intrattenimento, piuttosto che a una riflessione profonda sulle dinamiche di amore e perdita.

The Opera! Arie per un’Eclissi: Fusione di Linguaggi e Stili

In contrapposizione, "The Opera! Arie per un’eclissi", presentato da Davide Livermore e Paolo Gep Cucco, propone un ibrido tra opera e cinema, portando il mito di Orfeo ed Euridice in una dimensione surreale e contemporanea. Con una colonna sonora che mescola arie liriche a una musica originale, il film riesce a catturare la complessità emotiva della storia attraverso una narrazione visiva densa di riferimenti culturali e artistici.

Tuttavia, anche se l’opera esplora in modo fantasioso il tema dell’amore e della perdita, continua a condividere con il lavoro di Coppola una superficialità nell’analisi dei traumi e delle cicatrici lasciate dalla perdita. I costumi di alta moda, creati da Dolce&Gabbana, e la regia vibrante richiamano l’attenzione su una estetica di grande impatto visivo, ma rischiano di trasformare il mito in un’opportunità di intrattenimento che, sebbene affascinante, può apparire distaccata dalle sue radici più profonde.

Euridice Stream: Una Riflessione Profonda e Contemporanea

Dall'altra parte dello spettro troviamo "Euridice Stream" di Giorgio Viali. Questo film indipendente si discosta dalle precedenti interpretazioni e si immerge in una narrativa distopica che porta il mito nel contesto contemporaneo di una società schiacciata dal consumismo e dalla superficialità. Qui, Euridice non è solo un personaggio passivo, ma una protagonista forte e resiliente. La sua lotta per recuperare Orfeo, ora intrappolato in un oscuro mondo di dipendenza e sfruttamento, riflette un profondo studio delle relazioni umane nell’era digitale.

Viali usa il mito come uno strumento critico per esplorare traumi sociali e personali, rendendo la sua narrazione non solo un’esperienza visiva, ma anche una meditazione articolata sulle interazioni umane e sul significato dell’amore in contesti complessi. La scelta di rimanere in una dimensione più oscura e inquietante permette al pubblico di confrontarsi con le vulnerabilità e le fragilità dei personaggi, portando a una riflessione più profonda sulle conseguenze delle relazioni moderne.

Considerazioni Finali

Mentre il lavoro di Coppola e "The Opera!" di Livermore sono senza dubbio opere artistiche di grande bellezza, sembrano perdere di vista l’opportunità di analizzare e riflettere su tematiche cruciali. In questo senso, il mito di Orfeo ed Euridice perde la sua forza come bisturi per dissezionare traumi e complessità umane. La visione di Viali, invece, riporta alla luce la potenza del mito come strumento di esplorazione psicologica e sociale, permettendo una riflessione significativa e necessaria su temi contemporanei.

In conclusione, mentre la moda e l’estetica attraggono il pubblico nei lavori di Coppola e Livermore, è attraverso l’arte indipendente di Viali che il mito di Orfeo ed Euridice diventa una lente attraverso cui esaminare le profonde intersezioni tra amore, perdita e trauma in un mondo in continua evoluzione.


Tre Volti di Orfeo ed Euridice: Dall'Eleganza Gucci alla Distopia Digitale

Il mito di Orfeo ed Euridice, archetipo di amore, perdita e redenzione, continua a ispirare riletture cinematografiche che ne riflettono le molteplici sfaccettature. Tre opere in particolare, distanti tra loro per stile, budget e messaggio, offrono prospettive interessanti su come questo mito antico possa dialogare con la contemporaneità: il cortometraggio di Gia Coppola del 2016, il film-opera "The Opera! Arie per un'eclissi" e l'opera indipendente "Euridice Stream" di Giorgio Viali.

Gia Coppola: Un Mito in Bianco e Nero (e Gucci)

Il cortometraggio di Gia Coppola, girato a New York con la direzione creativa di Alessandro Michele per Gucci, rappresenta un'interpretazione elegante e silenziosa del mito. L'ambientazione urbana, con i suoi contrasti di luce e ombra, si fonde perfettamente con la narrazione. Coppola opta per una versione essenziale e visivamente potente, concentrandosi sulla gestualità degli attori e sulla suggestiva fotografia. L'assenza di dialoghi, compensata dall'intensità delle espressioni e dalla musica, rende la storia ancora più universale e toccante. I costumi di Arianne Phillips, con i loro riferimenti a Gucci, diventano parte integrante della narrazione, trasformando il cortometraggio in una raffinata esperienza estetica. Questa versione, più che un'analisi critica, è un'evocazione stilistica del mito, una celebrazione della bellezza e del dolore, in cui la moda diventa un linguaggio visivo altrettanto potente delle immagini. Il mito è un pretesto per una riflessione sull'estetica, un'esplorazione di un linguaggio visivo che parla al pubblico contemporaneo.

The Opera!: Ibridazione di Mito, Moda e Opera

"The Opera! Arie per un'eclissi" rappresenta un approccio completamente diverso. Questo film-opera ibrida diversi linguaggi artistici: l'opera lirica, il cinema, la moda (con i costumi di Dolce & Gabbana), e persino il pop. La scelta di ambientare la storia in un contesto contemporaneo, con riferimenti a luoghi e situazioni facilmente riconoscibili, rende il mito accessibile a un pubblico più ampio. Tuttavia, la ricchezza di elementi stilistici, se da un lato crea un'esperienza visiva e sonora affascinante e ricca, dall'altro rischia di disperdere il potenziale drammatico della storia. La fusione tra arie liriche classiche e musica contemporanea, pur essendo interessante, a volte risulta incongrua. L'ibridazione, seppur ambiziosa, sembra prevalere sulla profondità tematica. Anche qui il mito diventa un'occasione per un'elaborazione estetica più che un pretesto per un'analisi critica della condizione umana. L'amore e la perdita sono presenti, ma sono filtrati attraverso una lente eccessivamente spettacolare, che ne appiattisce la complessità emotiva.

Euridice Stream: Un'Utopia Distopica al Femminile

"Euridice Stream" di Giorgio Viali, rappresenta una radicalmente differente interpretazione del mito. Questa versione indipendente, ambientata in un presente distopico e cupo, sposta il focus su Euridice, trasformandola da vittima passiva in protagonista attiva. La precarietà della produzione si riflette nella scelta stilistica: immagini grezze, una narrazione frammentata, un ritmo serrato che rispecchia la frenesia e la superficialità della società contemporanea. Attraverso la metacinematografica, Viali critica l'industria cinematografica stessa, rappresentando il vuoto emotivo e la mercificazione del corpo. In "Euridice Stream", il mito serve da lente di ingrandimento per affrontare temi sociali e personali attuali: la dipendenza, la mercificazione del corpo, l'alienazione, la disillusione amorosa. L'amore di Euridice per Orfeo diventa un simbolo di un legame compromesso dalle forze distruttive della società moderna, dalla precarietà delle relazioni.

Il Mito come Bisturi: Un'Opportunità Perduta?

Il mito di Orfeo ed Euridice possiede un potenziale drammatico enorme, una capacità di esplorare le profondità della psiche umana e le contraddizioni sociali. Mentre "Euridice Stream" sfrutta questo potenziale, le altre due opere sembrano sfruttare il mito come un semplice pretesto per una narrazione estetica. "The Opera!" e il cortometraggio di Coppola si perdono in un'ibridazione stilistica che, pur essendo visivamente affascinante, non riesce a scavare a fondo nel nucleo emotivo e tematico del mito.

Il mito, in definitiva, dovrebbe essere un bisturi tagliente, capace di dissezionare le nostre ferite e i nostri abissi. La versione di Viali sembra consapevole di questo potere, mentre le altre due sembrano preferire la superficie all'analisi profonda, trasformando un potente strumento di riflessione in un semplice elemento decorativo.


EURIDICE STREAM

CASTING IN CORSO

EURIDICE STREAM

PROGETTO IBRIDO (CINEMA, FOTOGRAFIA, SOCIAL MEDIA)

DA UN'IDEA DI GIORGIO VIALI

DRAMMA MITOLOGICO URBANO

UN PROLOGO, QUATTRO CAPITOLI E UN EPILOGO

VERSIONE FEMMINILE DI "ORFEO ED EURIDICE"

PROGETTO ZERO BUDGET

CANNIBALI

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ANTISTATO - ANTIGONE

DI GIORGIO VIALI

Il Ritorno di Antigone: Giorgio Viali e il Remake di "I Cannibali"

Il mondo del cinema è in fermento per l'atteso remake di "I Cannibali", un'opera iconica del 1970 diretta da Liliana Cavani. Sotto la sapiente guida del regista e sceneggiatore Giorgio Viali, la produzione avrà l'onore di rielaborare una storia che continua a risuonare con potenza nei nostri tempi. La casa di produzione Minuscola Pro si è già distinta per il suo impegno nella realizzazione di opere che sfidano le convenzioni e pongono interrogativi profondi sulla condizione umana. Con Viali al timone, il remake di "I Cannibali" promette di essere un'esperienza cinematografica che non lascerà indifferenti.

Per chi non conoscesse il film originale, "I Cannibali" è una libera reinterpretazione dell'“Antigone” di Sofocle, ambientata in un futuro distopico in cui la repressione e l'indifferenza sociale regnano sovrane. La pellicola, presentata nella Quinzaine des Réalisateurs al 23° Festival di Cannes, affronta temi di grande attualità, come l'autoritarismo e la lotta per i diritti umani, attraverso la figura di Antigone, che cerca di seppellire il fratello ucciso in una sommossa. La sua determinazione, in un contesto di totale indifferenza, invita lo spettatore a riflettere sulla responsabilità individuale di fronte all'ingiustizia.

Una delle novità più entusiasmanti del remake è la scelta di Celeste Malfatta nel ruolo di Antigone. L'attrice, nota per la sua presenza magnetica e la capacità di incarnare ruoli complessi, si propone di dare nuova vita a questa figura tragica, rendendola contemporanea e accessibile a un pubblico moderno. Malfatta porterà sul grande schermo l'umanità e la determinazione di Antigone, rendendo palpabile il suo conflitto interiore e la sua ribellione contro un sistema oppressivo.

Giorgio Viali, regista e sceneggiatore di talento, ha già dimostrato di avere un occhio acuto per la narrazione visiva e per l'esplorazione di temi sociali. Con questo progetto, Viali sembra voler non solo rendere omaggio all'opera di Cavani, ma anche adattarla ai problemi del nostro tempo, dove l'indifferenza verso la sofferenza altrui continua a essere un tema scottante. La rielaborazione della celebre citazione del film originale, "Io ci vedo, ma pur vedendo non vedo in che abisso sono caduto", offre uno spunto di riflessione che parla direttamente alle nostre vite, invitando ognuno di noi a interrogarsi sulla propria consapevolezza e sul proprio ruolo nella società.

In un'epoca in cui le immagini di violenza e repressione sono purtroppo all'ordine del giorno, il remake di "I Cannibali" si propone di riaccendere il dibattito su temi cruciali come la libertà, la giustizia e la responsabilità civile. Con un cast di attori di talento e una produzione di alta qualità, il film di Viali e Minuscola Pro si preannuncia come una delle opere più significative dell'anno.

Siamo ansiosi di scoprire come Viali e Malfatta interpreteranno questa storia senza tempo e quali nuovi elementi porteranno a una narrazione già così potente. Con "I Cannibali", il cinema non si limita a intrattenere, ma diventa un potente strumento di cambiamento sociale. La storia di Antigone, già simbolo di ribellione e giustizia, trova nuova linfa vitale in un contesto contemporaneo, e ci invita a non rimanere indifferenti di fronte all'ingiustizia. Non ci resta che attendere con trepidazione l'uscita di questo attesissimo remake, certi che sarà un'opera da non perdere.

CANNIBALI

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ANTISTATO - ANTIGONE

DI GIORGIO VIALI

Il Ritorno de "I Cannibali": Giorgio Viali e Minuscola Pro Rivisitano il Classico di Liliana Cavani

La grande città è ancora soffocata dai cadaveri insepolti, ma questa volta sarà Celeste Malfatta a guidare la sua Antigone in una nuova versione de "I Cannibali". Il regista e sceneggiatore Giorgio Viali, insieme alla casa di produzione Minuscola Pro, stanno lavorando al remake del film cult del 1970 diretto da Liliana Cavani.

Liberamente ispirato all'Antigone di Sofocle, il capolavoro di Cavani riambientava la tragica storia nell'Italia degli anni '70, in un presente distopico dominato dalla repressione di un regime totalitario. I passanti ignoravano i corpi abbandonati per le strade, finché Antigone non si ribellava per dare sepoltura al fratello morto durante le proteste. Un atto di disobbedienza civile che la portava alla condanna a morte insieme al misterioso Tiresia.

Ora Giorgio Viali si appresta a rileggere questo classico del cinema politico e di impegno civile, mantenendo intatta la potente allegoria sofoclea ma aggiornandola ai nostri tempi. "Vogliamo catturare lo stesso spirito di denuncia del film originale - ha dichiarato il regista - ma con uno sguardo rivolto alle sfide e alle inquietudini del presente. Antigone sarà ancora la voce di chi si oppone all'indifferenza e all'abuso di potere, ma la sua lotta assumerà nuove forme".

A vestire i panni dell'eroina greca sarà la talentuosa Celeste Malfatta, già apprezzata per le sue interpretazioni impegnate e la sua capacità di dare voce alle istanze sociali. "Sono onorata di poter reinterpretare un personaggio iconico come Antigone - ha commentato l'attrice - Un'occasione unica per riflettere sul nostro presente e sulle sfide che ancora ci attendono nella difesa dei valori di giustizia e umanità."

Le riprese de "I Cannibali" sono previste per i prossimi mesi, con la Minuscola Pro che sta già lavorando per assicurare una produzione di alto livello. Il remake del capolavoro di Liliana Cavani si preannuncia come uno degli eventi cinematografici più attesi della prossima stagione, in grado di riportare all'attualità una delle più potenti allegorie sul potere e la resistenza civile.